In passato, agli occhi dell’uomo comune, andare dallo psicologo era come dovere ammettere di essere ‘ malato’ , e siccome lo specialista deputato era quello della ‘ mente’ , automaticamente prendeva forma la paura di essere un ‘ malato mentale’ , altrimenti definito pazzo, folle e cosi’ via, secondo tutta una serie di etichette e stereotipi. Da allora di strada ne è stata fatta, ma non troppa… Di fatti, ancora oggi, in certi contesti culturali, il ricorso allo psicologo professionista è visto con sospetto (‘ cosa penserà la gente?’ ), timore (‘ non sono mica matto, io’ ), sfiducia e scetticismo (‘ ce la devo fare da solo…’ ).
Se una volta si faceva ricorso allo ‘ specialista della mente’ principalmente per quadri sintomatici classici propri della psicologia clinica (depressione, psicosi, disturbi della personalità, disturbi alimentari, disturbi ossessivo-compulsivi…), è sempre piu’ diffuso un ricorso alla psicologia per aiutare a sviluppare capacità latenti, liberare blocchi, stimolare risorse, migliorare espressioni della nostra modalità di essere e vivere con noi e gli altri (psicologia positiva). La modalità del saper essere diventa centrale, perno del nostro sentimento di soddisfazione e fiducia intrinseca, motore della costruzione della nostra immagine identitaria e del nostro processo di autostima.
◊ essere assertivi (‘affirmation de soi’);
◊ migliorare la capacità di comunicazione, di ascolto e di relazione; esprimere le emozioni e gli stati d’animo, anche quelli negativi (rabbia, dissenso, collera, avversione…) in modo sano per sé e per gli altri;
◊ aumentare l’autostima;
◊ gestire i conflitti;
◊ vivere una sessualità sana e appagante, superando disfunzioni o blocchi;
◊ vivere con consapevolezza la mia identità sessuale (gender identity);
◊ sviluppare le mie capacità di adattamento, di trasformazione e di evoluzione (resilienza);
◊ lasciar emergere ed esprimere le potenzialità creative latenti e utilizzarle quali strumenti di realizzazione del Sé, terapeutici ed esistenziali allo stesso tempo;
◊ imparare a gestire lo stress e a utilizzarlo come strumento di crescita adattiva attraverso l’utilizzazione di svariate strategie antistress e moderatori di stress);
◊ conseguire uno stile di ‘igiene di vita’ qualitativamente sano (sonno, alimentazione, working-life balance…);
◊ vivere con piena consapevolezza (mindfulness);
…e altro ancora
Sono questi solo alcuni ambiti in cui la dimensione dell’ essere è potenziata, sviluppata, liberata, cercata, così da permettere l’ espressione e il raggiungimento di un equilibrio e di un sentimento di benessere interiore.
Occuparsi della dimensione dell’ essere, significa altresì prendersi cura di quegli aspetti più esistenziali del mio vivere la mia esperienza di uomo: qual è il significato di ciò che mi accade, quale senso dare alle cose che sono o reputo importanti nei fatti che mi accadono, siano essi fonte di gioia (una promozione, la nascita di un figlio, la costruzione di una relazione affettivamente importante….) o di sofferenza (la morte di una persona cara, la malattia, un incidente, un attacco, un conflitto…). Che cosa “mi muove”, mi motiva, mi stimola a vivere ciò che la mia vita, ineluttabilmente, mi presenta? In questa direzione l’ Io diventa attore proattivo, cioè protagonista responsabile di una progettualità.